Tutto quello che ho detto finora sulla bellezza del paesaggio non ha molto senso, per Assisi. Il paesaggio assisiate ha già un alto valore. Non ha bisogno di essere ulteriormente valorizzato, se non al prezzo di un rapporto costi/benefici molto duro. La necessità è, semmai, capitalizzare questo valore. Monetizzare, direbbe qualcuno più prosaico di me. La difficoltà sta nel far venire più persone, nel farle restare più tempo, nel farle spendere più soldi, nel far lasciare a queste persone 100 euro sul territorio, piuttosto che 50.
Bisogna dunque rendere questo paesaggio accessibile, sia in termini fisici che virtuali. Più cose si sanno di un paesaggio e più si ha voglia di andarci. Si dice che noi abbiamo il 50% dei beni culturali del mondo. Io non ci credo. Ma anche se fosse vero che ne abbiamo il 30%, vogliamo scommettere che non fatturiamo il 30% del complessivo?
Non voglio prendere esempi facili, ma occorre partire da delle banalità. A fronte di questi mari,
9 a4
quello di Rimini è brutto, per rimanere in tema. Ma è evidente che vi è qualcosa che travalica e travolge il solo valore ecologico e ambientale e che fa sì che in Riviera vadano ogni anno milioni di turisti. La Riviera ha valorizzato al meglio le proprie opportunità.
Prendo l’esempio opposto, anzi due. Sono andato due domeniche fa a Collodi con la mia famiglia. Mi sono allontanato un po’ prima della partenza per andare a vedere che cosa potesse offrire il bookshop. A dispetto del nome c’erano pochi libriccini in vendita (non libri), qualche piccola cosa e dei Pinocchio di legno. Non c’era molto altro. Ora, com’è possibile che non vi sia qualcosa d’altro da legare al mondo di Pinocchio? Possibile che a fronte di un parco fatto da Porcinai, da Michelacci  di statue di Marco Zanuso, di Emilio Greco, non vi fosse una pubblicazione su questi autori, su come è stato fatto il Parco? Possibile che non vi siano altri prodotti da legare emotivamente al mondo di Pinocchio? Scarpe, libri, alberi, frutta, formaggio, balene, magia, pesca, giostre dedicate, un parco dell’avventura che sia un parco di Pinocchio e non il percorso vita di Ponte Felcino?
Altro esempio, più vicino a noi. Il Tempietto del Clitunno a Campello. Oggi Patrimonio UNESCO.  Provate a fare una ricerca su internet e vedrete come i risultati siano non sistematici. Provate a fare una ricerca dei testi sul Sistema Bibliotecario Nazionale (OPAC SBN) e vedrete quante poche pubblicazioni ci sono. E la situazione è migliorata di molto in questi ultimi anni. Prima era un problema anche solo visitare il sito. E non mi si dica che le pubblicazioni si rivolgono a un target specialistico. O meglio: lo si dica, perché è vero. Come è vero che chi va a vedere il Tempietto ci va perché è abbastanza interessato. Non è una meta di una famiglia che vuole fare il picnic. Non so quanti rilievi architettonici approfonditi ci siano in Soprintendenza. E quanto questi possano essere accessibili facilmente allo studioso.
Vedo in sintesi due problemi principali:
1. Spesso non conosciamo appieno quello che abbiamo. E non si può valorizzare ciò che si ignora. Lo so, la conoscenza costa. Inutile e stupido dire il contrario. Si tratta di fare una scelta strategica (questa sì una scelta da assoggettare a VAS), culturale prima e politica poi. Noi sappiamo che il nostro sottosuolo è ricco di petrolio, di gas, di litio, ma non vogliamo spendere per sapere dove scavare con maggiore efficienza. O per sapere quali minerali troveremo. Questo è il punto.
2. Non abbiamo focalizzato la nostra intelligenza sul come far fruttare questo giacimento culturale. Finora ci siamo impegnati sulla tutela, credendo che la bellezza in sé avrebbe attirato persone e reddito. Per mantenere la metafora di prima: abbiamo trovato il petrolio, ma non vogliamo fare gli oleodotti. Lo lasciamo lì ad adagiarsi a formare un piccolo lago. Abbiamo trovato il litio, e lo lasciamo lì all’aria aperta, confidando che la sola visione di esso ricaricherà le nostre batterie. Ma non è così. E’ ora forse di allargare l’ottica, di percorrere anche un altro sentiero, di intonare un altro canto. Bisogna vendere (vendere bene), questa ricchezza. Anche in questo campo occorre investire per rendere accessibile questo patrimonio: accessibile sia in senso fisico che virtuale. E poi bisogna metterlo e integrarlo in un sistema in cui i nodi principali della nostra economia vengano toccati. So che apparentemente sto ripercorrendo la filiera T-C-A Turismo Cultura Ambiente. Credo che la differenza stia solo nel cambio di prospettiva: dal focus sulla “produzione” a quello sulla distribuzione (oggi condivisione?), sulla vendita, insomma. Una volta restaurato l’edificio, dobbiamo farlo sapere a tutti. Altrimenti sarà stato uno sforzo vano.

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