Come leggere la città? Come deve leggere la città un architetto? Parlo di una lettura “poetica”, ovviamente: di una lettura che è volta a un progetto. Le letture classiche prevedono le analisi:
* storiche di sviluppo urbanistico
* del traffico
* dei parcheggi pubblici
* dei parcheggi privati
* del verde pubblico
* del verde privato

A queste bisognerebbe affiancare, a mio avviso, quelle che seguono (anche sotto forma di catalogo):
* dei materiali che compongono la città e la parte di città. Le pavimentazioni, i materiali da costruzione, i colori, ci dicono molto sulla città.
* attacco a terra, attacco al cielo. Gli edifici hanno sempre un punto (o meglio: un luogo) di contatto con il terreno e un luogo di di contatto con il cielo. Il primo è ovviamente un luogo fisico, mentre il secondo è solo concettuale. Tuttavia in Italia il cielo è così netto che non è difficile dire che ci sia un contatto fisico tra l’edificio e l’orizzonte. Ogni città ha dei modi particolari e ricorrenti di risolvere questi due luoghi.
* dei segnali della città (insegne, cartelli, cestini, pensiline di attesa, delle panchine, ecc.). Non sono capace di apprezzare appieno il cosiddetto “arredo urbano”. E’ comunque innegabile che la cura con cui una città viene curata in questi dettagli dice molto del carattere degli abitanti.
* dei ritmi di pieni e vuoti in alzato. Ritengo che sia uno dei temi più importanti nella lettura della città, soprattutto quella italiana, quella umbra. Questi ritmi variano durante le epoche e secondo i punti cardinali. La geometria varia in relazione alla visibilità dell’edificio. Il ritmo contiene ovviamente la dimensione degli elementi.
* dei ritmi di pieni e vuoti in pianta. Anche in questo caso, la densità di vie piazze cortili parchi giardini orti consente di comprendere qual è il rapporto che gli abitanti hanno voluto introdurre e mantenere con il luogo. Il rapporto tra il pieno crea una tensione. Anche qui le dimensioni fanno la differenza. Piazza degli Innocenti a Firenze è ancora una piazza: la Piazza Rossa di Mosca non è una piazza.
* degli usi (mixité degli usi). Questa lettura è un po’ più tecnica delle altre, ma consente di vedere quali sono gli usi che hanno consentito alla città di reggere, finora.
* usi attivi in fasce orarie. Anche questa è una lettura tecnica, e serve a essere collegata ad altre letture. In certi orari la città contemporanea è completamente “spenta”. Si faccia un giro nelle nostre zone industriali il sabato e la domenica e si capiranno tante cose. Altri luoghi della città subiscono lo stesso destino, oggi anche all’interno della città storica.
* degli orari della città. E’ una lettura complementare a quella appena qui sopra. Si tratta di vedere quali “settori” si accendono in certe fasce orarie.
* delle isocrone. Quanto tempo occorre per raggiungere il centro? A piedi? In bici? In auto? Ecco allora che la città si deforma sulle isocrone.
* dei monumenti. Trovo che i monumenti, le lapidi, le epigrafi, ecc. benché viste nella distrazione e poco apprezzate dalla gioventù, divengano, con l’età, molto importanti. E poiché la nostra società è composta anche dagli anziani, dai nostri nonni, non possiamo evitare che queste cose esistano. Molte città, nel moderno, hanno cominciato un lento ma inesorabile processo di allontanamento di questi elementi per far posto a cose più “politically correct” come alberi di ulivo, affogando le iscrizioni in un intonaco sovrasquadro, e così via.
* della possibilità di visuali libere sul paesaggio. Alcune città hanno un rapporto visuale particolare con il proprio paesaggio. Penso alla terrazza di Piazza dei Consoli di Gubbio, o la piazza-via dell’Arringo di Spoleto, le piazze aperte di Ferrara, i vicoli con gli scorci di Spello, Montefalco. O le città di mare. Ogni città è insomma immersa nel proprio paesaggio e a volte ne sceglie (almeno così mi piace pensare) i brani migliori.
* del silenzio. Alcune città sono più silenziose di altre, al di là della dimensione effettiva. Alcune parti sono più silenziose di altre. Ci sono posti in cui in Italia si può prendere il caffè all’aperto e sentire una voce umana dall’altra parte della piazza. Ci sono posti in cui è ancora possibile sentire il rumore dei tacchi che si immagina di una bella donna che ora sbucherà da quel portico. Ci sarebbe poi da parlare sulla lingua del posto e sul “brusìo”.
* presenza di spazi misti (pubblico- privato). Gilles Clement ha parlato del Terzo Paesaggio per il verde. Esiste una qualità simile per gli spazi urbani: penso alla Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli. I piani terra sono aperti ai cittadini e a volte non è facile dire di chi è la proprietà di quegli spazi: sono privati? Pubblici? Sono spazi che hanno una certa porosità rispetto alla proprietà. E anche nella città storico questa porosità rimane: gli androni dei grandi palazzi nobiliari, le scalinate, i portici delle chiese. Sono spazi non recintati, in cui è tollerata una certa promiscuità.
* accessibilità (barriere architettoniche). Le barriere architettoniche sono costituite da tutti quegli elementi che impediscono la fruizione della città alle persone disabili, malate, ai bambini, agli anziani. Si tratta di barriere che non sono solo architettoniche, ovviamente. Ma queste sono quelle più evidenti.
* possibilità di usi alternativi di parti di città. La piazza italiana ha questo successo universale anche perché consente una pluralità di usi. Si va dal gioco alle adunanze politiche, agli spettacoli teatrali, circensi, alle fiere di animali ai mercati delle merci, dalle esecuzioni capitali all’esibizione di sé, dal luogo elettivo della socialità alle parate militari, alle processioni, al radunarsi nel emergenze. La nostra ansia di specializzare ha forse appiattito anche queste possibilità.
* sicurezza urbana (presenza di luoghi difficili, presenza di luoghi sicuri). Oggi è diventato un elemento molto importante, purtroppo. L’occhio del vicino, che credevamo troppo invadente, è stato sostituito dall’occhio delle telecamere. E’ diventato elemento così importante che oggi arriva a condizionare anche la progettazione architettonica degli edifici. Bisogna dunque essere capaci di leggere la città anche sotto questo profilo.
* del tipo di illuminazione. Con il tempo allungato della città contemporanea, l’illuminazione ha assunto un ruolo sempre più prevalente. Non tutti gli interventi di illuminazione dei palazzi e dei monumenti sono a mio avviso azzeccati, risolvendo in luce ciò che era stato pensato in ombra, togliendo massa lì dove era prevista. Ma la “maraviglia” della luce sovrasta anche questo tipo di errori. La luce notturna si lega ovviamente al tema della sicurezza urbana.
* leggibilità della città alla Lynch (confini, limiti, punti di riferimento, ecc.). La città si percepisce (e si ri-costruisce mentalmente) per parti significative. Queste parti sono state evidenziate da Kevin Lynch nei suoi libri da molto tempo, anche se onestamente si vedono poche analisi di questo tipo, sia all’Università che nella professione.
* del rapporto tra la città murata e i borghi circostanti. La città consolidata ha sempre dei borghi che si sono ormai assestati a ridosso della città più antica. E poi ci sono le frazioni, un po’ disperse, un po’ più lontane. Ogni città ha un modo di “sentire” le frazioni.
* della sezione stradale. Credo che uno dei metodi migliori per leggere l’urbanistica contemporanea e quella del passato risieda nel fare delle sezioni stradali. Il rapporto tra strada e edificio è infatti costituivo e denotativo.
* i cimiteri. Abbiamo espulso i cimiteri dalla città dopo il 1804. Ma anche da lontano essi sono un elemento fondamentale della città. Il loro rapporto con la città “vissuta” è sintomatico. Anche la loro architettura rivela molte cose. Nei cimiteri odierni si sfogano oggi tutte le frustrazioni dei progettisti (geometri, ingegneri, architetti), che non riescono a trovare soddisfazione nel tessuto vivo.
* infine: le criticità, i passi falsi, gli errori. Ogni città ha subito degli attacchi. Ci sono interventi architettonici e urbanistici che non sono proprio riusciti. Di questi bisogna sapere leggere la genesi e saper individuare le azioni necessarie a correggere gli errori (se possibile), o a curare il malato (la città) anche con operazioni dolorose: demolizione. Bisogna però essere onesti e non cedere alla vulgata, al mainstream. Saper distinguere la buona dalla cattiva architettura è esercizio difficilissimo e richiede degli occhi allenati e delle motivazioni sensate e comunicabili. Il rischio è di basarsi su un’opinione molto popolare o su un dogma accademico e formulare giudizi molto affrettati. Questa delle criticità obbliga anche a una mappatura dei valori architettonici in gioco.

Tutte queste analisi non portano necessariamente a un progetto fortemente contestuale, che si adagia e che conferma l’identità del luogo. Se l’identità è la stratificazione di ciò che siamo stati, l’arte ha il pregio e il discrimine di ampliare sempre la nostra identità: dopo una buona opera d’arte non siamo più gli stessi. Ecco, se il progetto d’architettura condivide qualcosa con l’opera d’arte, esso può benissimo ampliare la nostra sensibilità e la nostra identità.

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