Non si può non essere d’accordo con disegno di legge in materia di semplificazione amministrativa. Ma ci sono alcuni ma.

Il DDL che la Giunta Regionale umbra ha presentato recentemente tenta una riforma del procedimento amministrativo ed una sua semplificazione senza una riforma dell’architettura istituzionale. Mi sembra che mantenendo intatto tutto un sistema complesso fatto di più parti (enti, organi, organismi, ecc.), la semplificazione possa avvenire sì, ma con una curva dei benefici che si appiattisce subito. Possiamo ridurre e comprimere i tempi, ma sotto un certo tempo non si può andare. Se comunque un procedimento prevede una “filiera” di 4 o 5 enti e conferenze di servizi, sotto ad un certo tempo non si potrà scendere. Mi sembra che si annuncino delle cose interessanti senza avere tuttavia la coerenza necessaria per andare fino in fondo.

1) Nel DDL si sposta giustamente il peso dell’azione amministrativa basandosi su una co-responsabilità dei tecnici. E allora bisogna essere forse più decisi e conseguenti nell’azione. La prima considerazione, a mo’ di premessa, è che questo spostamento del baricentro dell’azione amministrativa verso i professionisti è la constatazione anche di un parziale fallimento: lo Stato, con tutti i suoi organi periferici, non riesce a fornire dei servizi adeguati alla collettività. Nulla di male (forse): almeno se ne prenda atto e si riparta da questo punto. Seconda piccola digressione: questa potrebbe essere una buona occasione per fare chiarezza anche sui termini di asseverazione, perizia giurata, autocertificazione, attestazione, dichiarazione, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e sulla loro necessità. C’è bisogno di questa pluralità? Che cos’è una “dichiarazione che asseveri …”? E che bisogno c’è dire che il tecnico assevera, sotto la propria responsabilità? C’è qualcuno che può asseverare sotto la responsabilità di altri? Questo è un discorso che attiene alla pulizia del linguaggio e su cui torno in conclusione. Ora, se il tecnico deve asseverare, attestare, dichiarare tutte le possibili conformità possibili (PUT, PTCP, PRG, Piani di settore, regolamento edilizio, igiene, tutela della sicurezza, barriere architettoniche, ecc.), l’istruttoria si deve ridurre veramente a poca cosa. Anzi, a nessuna cosa. A mio avviso si può ridurre ad un controllo statistico sulle pratiche presentate. Dirò di più. Poiché l’asseverazione è un atto pubblico di competenza del Cancelliere, che fa assumere la figura di pubblico ufficiale a chi presta giuramento, l’istruttoria tecnica ulteriore degli uffici comunali si potrebbe inquadrare come un mero aggravio del procedimento.  L’unica parte di istruttoria rimasta è forse dunque quella relativa alla Commissione per la Qualità, su cui dirò tra breve. Si abbia il coraggio di limitare l’istruttoria degli uffici comunali ad una procedura di controllo a campione sul progetto presentato e poi (forse), sul costruito.

2) Come scrivo nel corpo del testo, emendando gli articoli,  a mio avviso un’attività edilizia “libera” non è più possibile, per vari motivi (soprattutto per l’incidenza, comunque, di leggi di settore: ASL, DURC, Sicurezza, Occupazione suolo pubblico, ecc.), e quindi una semplice comunicazione al Comune non fa certo la differenza. Tuttavia credo che sarebbe sufficiente creare tre sole categorie e due soli procedimenti: una categoria per interventi esclusi da qualsiasi comunicazione o segnalazione, uno per gli interventi diretti, ed uno per gli interventi che hanno bisogno di un passaggio (o più), in Consiglio Comunale. Per gli interventi diretti io opterei per la SCIA, svuotando per quanto possibile “dal di dentro” il PdC fino a quanto è consentito dal regime di legislazione concorrente con lo Stato. Questo sia perché il tecnico è sempre più “pubblico ufficiale”, sia perché la discrezionalità tecnica del dirigente comunale in ordine ad un PdC conforme al PRG e a tutte le altre leggi è veramente minima. Voglio dire con ciò che rispetto ad un PdC ineccepibile sotto il profilo della capacità edificatoria, delle altezze, delle distanze, ecc., voglio proprio vedere un dirigente che rigetti l’istanza solo perché alla Commissione per la Qualità il progetto architettonico non è piaciuto. Per gli interventi indiretti, stabilirei un solo procedimento, che tenga conto delle prerogative del Consiglio Comunale ex TUEL, ma anche delle direttive comunitarie, che impongono forme di partecipazione più ampie ed intense di quelle che siamo usi effettuare. Non si vede perché un Piano Attuativo deve avere un procedimento, un PUC un altro, un Piano attuativo ex LR 13/2009 un altro, senza considerare l’incidenza della VIA, della VAS, della Provincia. Se per esempio si mantengono le province queste diventino il luogo (anche fisico, perché no), in cui ogni giorno si tengano Conferenze di servizi per i Piani Attuativi dei vari Comuni.

3) Conferenze di servizi: si dice che la Regione la considera come modalità generale di semplificazione dell’azione amministrativa (art. 25 ddl), e la rende obbligatoria per interventi sopra i 500 mq (art. 48 ddl). Io la farei sempre obbligatoria. Non sono un giurista né un esperto di diritto amministrativo e quindi a me stabilire se la conferenza sia organo, ufficio, o altro ente collegiale fa poca differenza. Io noto solo una cosa: che quando degli enti si mettono intorno ad un tavolo per esaminare contestualmente una pratica, questi hanno di fatto ri-organizzato la macchina amministrativa e creato un nuovo ufficio. Insomma: da quella conferenza esce un provvedimento, un atto, che ha incidenza e rilevanza verso l’esterno: verso il cittadino: verso il tecnico. E poiché anche io credo che sia una buona cosa, dico di estenderla a tutti i procedimenti edilizi o di gestione del territorio. Nella Conferenza siano invitati, in un’unica conferenza tutti gli enti, Soprintendenza e Commissione per la Qualità compresi. E siano invitati anche il committente ed i tecnici a supporto dell’iniziativa del privato. Deve o non deve cambiare questo rapporto di derivazione napoleonica tra cittadino e pubblica amministrazione? Il cittadino non ha forse diritto di partecipare ad un procedimento che lo vede come soggetto passivo della decisione amministrativa? Non ha diritto di sapere qual sono i giudizi che si danno della sua iniziativa? Il tecnico non ha diritto di sentire i giudizi dei suoi colleghi della Commissione o della Soprintendenza? Il problema non è più la co-pianificazione: quella l’abbiamo ormai compresa e laddove serve viene applicata dignitosamente. Il problema è la gestione delle trasformazioni del territorio. Per fare un esempio sul terreno che mi è più noto, l’urbanistica, il problema non è più la co-pianificazione, ma la co-gestione. Il problema non è più pianificare insieme, ma gestire insieme e quotidianamente il territorio. Occorre a mio avviso ristrutturare gli enti e creare nuove istituzioni (organi, organismi, agenzie: non fermiamoci al nome),  dedicate alla gestione del territorio. Questa conferenza può essere permanente e riunirsi ciclicamente. Tra l’altro la Regione spinge a che si facciano conferenze telematiche: nulla vieta, a maggior ragione, che queste siano periodiche.

3) Legislazione concorrente in materia edilizia ed urbanistica. Occorre fare chiarezza una volta per tutte sul punto. Non ci possono essere zone grigie tra il testo unico nazionale e le norme regionali. L’attività libera del dettato nazionale deve corrispondere a quella regionale; i titoli devono corrispondere (la Comunicazione di inizio attività in Umbria esiste o meno?); gli interventi devono corrispondere (la ristrutturazione ex art. 13 della LR 1/2004 che tipo di ristrutturazione è?); gli istituti devono corrispondere (il permesso di costruire in deroga c’è ancora in Umbria?). La legislazione nazionale non è più da considerare? Un regolamento regionale può disapplicare il DM 1444/1968? Nessun problema da parte nostra: lo si stabilisca una volta per tutte.

4) Commissioni edilizie (Commissioni per la Qualità Architettonica e per il Paesaggio). Ho scritto già in altre parti cosa ne penso e quindi posso qui riassumere solo alcune disposizioni che ci interessano. Parto da osservazioni banali: la Commissione edilizia esiste da 80 anni almeno e non sembra (ma non a me, alla maggioranza di noi tutti), che abbiamo un territorio salvaguardato e “infiocchettato” da architetture lodevoli. Il nostro territorio è in condizioni pessime (guardiamo anche fuori dall’Umbria), le nostre città sono in condizioni pessime, i centri storici hanno forse conservato le pietre ma perso gli uomini. A me basterebbe la presa di coscienza di questo quadro per dedurne che il modello basato sulle Commissioni edilizie è inefficace. Chi giudica i progetti in Commissione non ha titoli superiori (accademici, di studio, di onorata e riconosciuta professionalità), a chi si sottopone al giudizio ed alla valutazione della Commissione; i ruoli tra commissario e professionista si invertono anche in Comuni confinanti, il che induce naturalmente ad accordi e comportamenti taciti di “non belligeranza”; la Commissione, pure molto incisiva rispetto alla decisione finale del dirigente, non è responsabile di nulla, il che le consente di azzardare le peggiori valutazioni; la Commissione è anti-democratica, in quanto non prevede mai la partecipazione del cittadino e del tecnico; la Commissione è un aggravio del procedimento ed una parziale duplicazione della Commissione Consiliare; la Commissione è comunque “inquinata” dal potere politico che ne vuole sempre far parte.

5) Il linguaggio delle norme e il raccordo normativo. Gli articoli devono essere “atomizzati” e cioè scritti in una forma veramente piana, evitando letture congiuntive, disgiuntive, avverbi, frasi subordinate, coordinate, ecc. Dire solo l’essenziale: alcune frasi del tipo “l’istanza è trasmessa al Comune” o  “gli interventi devono essere realizzati in conformità alle norme tecniche sulle costruzioni”, “il tecnico assevera sotto la propria responsabilità …” non hanno molto senso. Vi è qualcuno che costruisce ignorando scientificamente le nuove norme sulle costruzioni? E se anche fosse, è sufficiente una piccola frase per farlo desistere?  Ne discende che anche la modulistica dovrebbe essere predisposta, per tutti i Comuni dell’Umbria, e resa disponibile sui siti comunali e su quello della Regione. Non voglio arrivare alla precisione della Francia, dove il Code de l’Urbanisme (nazionale), prevede una modulistica unificata, ma ritengo che a livello regionale la cosa sia fattibile. E’ urgente la redazione di un Testo Unico, non come collazione o raccolta delle leggi urbanistiche ed edilizie in Umbria, ma una vera e propria codificazione, un Codice in materia urbanistica edilizia ambientale, che coordini ed integri la VAS con il PRG, il PRG con i procedimenti attuativi, i titoli edilizi con le sanzioni, l’urbanistica con gli espropri, i lavori pubblici con l’urbanistica. Che coordini da subito leggi regionali e regolamenti regionali, facendo tesoro anche delle successive interpretazioni e chiarimenti.

In definitiva occorre soprattutto una forte collaborazione tra pubblico e privato, per uscire da un “pantano” in cui rischia di affondare il sistema paese, e non solo il professionista. Occorre un tavolo su cui instaurare un nuovo rapporto tra cittadino, professionista, impresa e P.A., concordando una nuova “visione” dell’Umbria.

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